DICEMBRE '09
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Si chiude un anno del progetto e la valutazione, credo, sia buona. La gente, sorpresa per quello che è riuscita ad ottenere e a fare quasi unicamente con i propri sforzi, sembra entusiasta in quasi tutte le località.
L'équipe ha lavorato molto bene e al massimo ogni giorno. Noi abbiamo, come volontari-facilitatori, trovato luogo e senso.
L'unica cosa da sperare per l'anno nuovo è che le cose non tornino indietro.
Ma giá ora che ci approssimiamo un po' piú al 2010, i nuovi licenziamenti che arrivano dall'alto dell'istituzione fino a dentro la nostra squadra di lavoro, i contratti che non vengono rinnovati e i rimproveri di slealtà, ci lasciano preoccupare.
Scopro che anche questa, il Crate, come altre istituzioni e aziende, pensa in termini di inizio e di fine di cicli. Teste che cadono, mercati che si aprono e chiudono, classi intere che si stringono come in un acquario affollato e che aspettano l’occasione per riuscire.
Tutte le città nascono come un forte, da un forte. Sono l'atto di possesso di un territorio da parte del conquistatore, ma la città a volte viene fondata troppo in fretta, per questo le città all'inizio cambiano spesso di luogo e nome e vengono abbandonate, spostate, rifatte, distrutte, rifondate.
I nobili vagabondi erano un ostacolo all'ordine civile delle città, così li si spingeva a nuove avventure per allontanarli. Erano coloro che non potevano o non osavano parlare i veri ultimi di questa, come di ogni altra società. la minaccia di una resistenza indigena metteva al primo posto la "sicurezza", i conflitti interni facevano alzare le antenne ed erano trattati come la minaccia di pirati e corsari.
Nella città bisognava portarci le donne. La nobiltà patrizia innalzava cattedrali in cui pregare ed identificarsi.
Tra gli schiavi si avevano sottomissione, suicidi collettivi, odio ma anche accettazione, affiliazione e simbiosi.
Ciò che veniva dalle controparti si rispettava ma non si compiva.
Società stabilita e società ribelle, sempre ci fu stridore tra le due maniere di essere dell'uomo.
E' una storia più corta e quasi già altrettanto complicata
e non serve riscrivere il libro se non si guadagnano forme nuove.
A Stefano e a Jocelyn non è stato rinnovato il contratto per l'anno che viene, gli è stato detto all'ultimo momento, non hanno ricevuto alcuna valutazione ufficiale per il lavoro svolto e nessuno è venuto a chiedere cosa restava loro in pendenza.
Chi verrà a prendere il loro posto dovrà ricominciare quasi da zero senza averli mai visti, senza ricevere nessuna informazione da loro, senza sapere dove e a che punto esattamente si trovava il loro lavoro. Non si ammetterà mai ma fu una decisione politica a tagliarli.
Per me sarà fare a meno di due compagni.
Esploro la mia gabbia come un uccello ed eccomi
un pensiero che
“Me dije a mí mismo: es imposible que yo crea esto, y al decirlo observé que ya era la segunda vez que lo creía.”
“Y es bueno recordar que el compromiso no siempre se ejerce desde la certeza, sino también desde la inseguridad, desde la incertidumbre.”
Mario Benedetti, “Convalecencia del compromiso”
“Y es bueno recordar que el compromiso no siempre se ejerce desde la certeza, sino también desde la inseguridad, desde la incertidumbre.”
Mario Benedetti, “Convalecencia del compromiso”
Parlo a dei bambini di cose vere (cioè sentite) e d’invenzioni, loro mi parlano delle stesse cose. Io però ho più scopi di loro, sono venuti con l’età, e loro hanno una segreta sete di scopi.
Uno dei bambini cattura un Chercan, me lo faccio dare per liberarlo e vederlo volare, lo tengo in mano e vedo il suo groppone rossiccio, nel complesso è solo un po’ più grande del nostro scricciolo. Anche i bambini lo conoscevano per nome. Quando l’ho liberato invece di volare verso la campagna, si è infilato di nuovo in una delle aule della scuola ed è stato necessario catturarlo di nuovo.
Accade che una pietà distratta ci lasci liberi dall’angoscia di una mala ora, e poi di ripiombare nel medesimo stato da cui credevamo di essere liberati. Avviene per caso, cattivo istinto, abitudine, ma può essere anche per la protervia di voler soffrire ancora un po', oppure per vedere se la pietà era vera, davvero voluta e disposta quindi a ripetersi per noi senza stancarsi.
Quando i bambini lo riliberano, lo scricciolo è così esausto che quasi non riesce a volare, poi però passa anche l’ultimo filo spinato della scuola.
Che si voglia per noi lo stesso destino.
Uno dei bambini cattura un Chercan, me lo faccio dare per liberarlo e vederlo volare, lo tengo in mano e vedo il suo groppone rossiccio, nel complesso è solo un po’ più grande del nostro scricciolo. Anche i bambini lo conoscevano per nome. Quando l’ho liberato invece di volare verso la campagna, si è infilato di nuovo in una delle aule della scuola ed è stato necessario catturarlo di nuovo.
Accade che una pietà distratta ci lasci liberi dall’angoscia di una mala ora, e poi di ripiombare nel medesimo stato da cui credevamo di essere liberati. Avviene per caso, cattivo istinto, abitudine, ma può essere anche per la protervia di voler soffrire ancora un po', oppure per vedere se la pietà era vera, davvero voluta e disposta quindi a ripetersi per noi senza stancarsi.
Quando i bambini lo riliberano, lo scricciolo è così esausto che quasi non riesce a volare, poi però passa anche l’ultimo filo spinato della scuola.
Che si voglia per noi lo stesso destino.
Con Alejandro e Tomas.
Un maiten solitario nel secano di dicembre.
2009
Un maiten, solo, simbolico e sacrificale come un albero veterotestamentario.
Ritorno trionfale per la strada de El Parron, in piedi sotto il sole, pieni gli occhi patetici del paesaggio, Dio che ci guarda.
Ritorno trionfale per la strada de El Parron, in piedi sotto il sole, pieni gli occhi patetici del paesaggio, Dio che ci guarda.
Stefano e Simona sopra un fosso pieno di girini.
Si chiude un anno del progetto e la valutazione, credo, sia buona. La gente, sorpresa per quello che è riuscita ad ottenere e a fare quasi unicamente con i propri sforzi, sembra entusiasta in quasi tutte le località.
L'équipe ha lavorato molto bene e al massimo ogni giorno. Noi abbiamo, come volontari-facilitatori, trovato luogo e senso.
L'unica cosa da sperare per l'anno nuovo è che le cose non tornino indietro.
Ma giá ora che ci approssimiamo un po' piú al 2010, i nuovi licenziamenti che arrivano dall'alto dell'istituzione fino a dentro la nostra squadra di lavoro, i contratti che non vengono rinnovati e i rimproveri di slealtà, ci lasciano preoccupare.
La valutazione dell'anno fatta dalla gente di Barba Rubia. Quali obiettivi centrati dal progetto, quali da centrare il prossimo anno (Paul Klee).
Scopro che anche questa, il Crate, come altre istituzioni e aziende, pensa in termini di inizio e di fine di cicli. Teste che cadono, mercati che si aprono e chiudono, classi intere che si stringono come in un acquario affollato e che aspettano l’occasione per riuscire.
In costruzione di un pollaio mobile.
I nobili vagabondi erano un ostacolo all'ordine civile delle città, così li si spingeva a nuove avventure per allontanarli. Erano coloro che non potevano o non osavano parlare i veri ultimi di questa, come di ogni altra società. la minaccia di una resistenza indigena metteva al primo posto la "sicurezza", i conflitti interni facevano alzare le antenne ed erano trattati come la minaccia di pirati e corsari.
Nella città bisognava portarci le donne. La nobiltà patrizia innalzava cattedrali in cui pregare ed identificarsi.
Tra gli schiavi si avevano sottomissione, suicidi collettivi, odio ma anche accettazione, affiliazione e simbiosi.
Ciò che veniva dalle controparti si rispettava ma non si compiva.
Società stabilita e società ribelle, sempre ci fu stridore tra le due maniere di essere dell'uomo.
E' una storia più corta e quasi già altrettanto complicata
e non serve riscrivere il libro se non si guadagnano forme nuove.
Stefano e Jocelyn in una delle nostre uscite sul terreno.
Chi verrà a prendere il loro posto dovrà ricominciare quasi da zero senza averli mai visti, senza ricevere nessuna informazione da loro, senza sapere dove e a che punto esattamente si trovava il loro lavoro. Non si ammetterà mai ma fu una decisione politica a tagliarli.
Per me sarà fare a meno di due compagni.
Esploro la mia gabbia come un uccello ed eccomi
un pensiero che
sembrava interessante prima di scriverlo.
Un’altro malaugurato pensiero naïf.
Un tempo non credevo alla realtà dell’intelligenza, pensavo che fosse una costruzione convenzionale e non un apice evolutivo, perché gli altri animali la possedevano, mi si diceva, in minor grado. E cosa avrebbe portato poi a noi di buono averla?
Gli adepti dell’evoluzione sanno solo pensare a razze migliori per meglio naufragare.
In fondo perché sentirsi più intelligenti (e quindi più avanzati) di batteri, blatte, scimmie o consimili?
Chi garantisce il lieto fine a questa forma dell’istinto caratteristica della specie, che è un attributo certo vincente, ma niente più che un attributo.
Ora che so di essere stupido, nell’intelligenza ci credo, si, è proprio lei il tratto distintivo, anche degli stupidi, insieme a colpa e responsabilità. Ne intuisco la tenerezza possibile, la profondità ottusa, il tentativo ostinato ed eroico di mantenersi come un filo dritto nel magma cangiante.
Credo che solo noi, tra gli animali, ci presenteremo al Giudizio.
E se l’Animale ci chiama ancora da tutte le parti, se nel corpo e nell’anima ci spinge e ci attira; noi lo sentiremo pur sempre con nostalgia, come non fossimo mai abbastanza armonici e adatti.
Animali insoddisfatti, cerchiamo di illuminarci con l’invenzione della Storia e attraverso arti e scoperte, che non sono ne saranno, fino alla fine, mai abbastanza. Distrazioni dell’intelligenza e della memoria.
È meglio un buon dubbio ad una cattiva certezza, e in mancanza di verità, possiamo ancora girare il caleidoscopio delle interpretazioni.
La vita è venuta prima che la compagnia dell’intelligenza umana credesse di custodirla. Filosofi, filatelici e filantropi compaiono ad integrare e a sistemare la vita dandogli i nomi, non siamo alla fine del lavoro, che durerà quanto noi, non siamo alla fine ne della storia ne della preistoria.
Siamo l’ultimo adattamento del dominio sulla nostra scala, come le formiche lo sono nella loro.
So che non per essere teologi siamo più vicini a Dio di qualsiasi altro essere.
Ne più lontani per essere atei.
Nessuno ci toglierà il nostro bipede camminare, il pollice opponibile (non il migliore tra i pollici) e l’intelligenza, ma non andiamone troppo fieri perché forse dietro non c’è nascosto niente di più, potrebbe essere solo un nostro modo d’intrattenerci.
L’ingegno è la sfida, e si salvino tutte le parole che lo impalmano
Questo mi succede di pensare, indulgo a questo pensiero come un uccello esplora la sua gabbia, pensiero che sembrava importante prima di scriverlo. Il sole ha battuto forte nella testa nuda.
Un’altro malaugurato pensiero naïf.
Un tempo non credevo alla realtà dell’intelligenza, pensavo che fosse una costruzione convenzionale e non un apice evolutivo, perché gli altri animali la possedevano, mi si diceva, in minor grado. E cosa avrebbe portato poi a noi di buono averla?
Gli adepti dell’evoluzione sanno solo pensare a razze migliori per meglio naufragare.
In fondo perché sentirsi più intelligenti (e quindi più avanzati) di batteri, blatte, scimmie o consimili?
Chi garantisce il lieto fine a questa forma dell’istinto caratteristica della specie, che è un attributo certo vincente, ma niente più che un attributo.
Ora che so di essere stupido, nell’intelligenza ci credo, si, è proprio lei il tratto distintivo, anche degli stupidi, insieme a colpa e responsabilità. Ne intuisco la tenerezza possibile, la profondità ottusa, il tentativo ostinato ed eroico di mantenersi come un filo dritto nel magma cangiante.
Credo che solo noi, tra gli animali, ci presenteremo al Giudizio.
E se l’Animale ci chiama ancora da tutte le parti, se nel corpo e nell’anima ci spinge e ci attira; noi lo sentiremo pur sempre con nostalgia, come non fossimo mai abbastanza armonici e adatti.
Animali insoddisfatti, cerchiamo di illuminarci con l’invenzione della Storia e attraverso arti e scoperte, che non sono ne saranno, fino alla fine, mai abbastanza. Distrazioni dell’intelligenza e della memoria.
È meglio un buon dubbio ad una cattiva certezza, e in mancanza di verità, possiamo ancora girare il caleidoscopio delle interpretazioni.
La vita è venuta prima che la compagnia dell’intelligenza umana credesse di custodirla. Filosofi, filatelici e filantropi compaiono ad integrare e a sistemare la vita dandogli i nomi, non siamo alla fine del lavoro, che durerà quanto noi, non siamo alla fine ne della storia ne della preistoria.
Siamo l’ultimo adattamento del dominio sulla nostra scala, come le formiche lo sono nella loro.
So che non per essere teologi siamo più vicini a Dio di qualsiasi altro essere.
Ne più lontani per essere atei.
Nessuno ci toglierà il nostro bipede camminare, il pollice opponibile (non il migliore tra i pollici) e l’intelligenza, ma non andiamone troppo fieri perché forse dietro non c’è nascosto niente di più, potrebbe essere solo un nostro modo d’intrattenerci.
L’ingegno è la sfida, e si salvino tutte le parole che lo impalmano
Questo mi succede di pensare, indulgo a questo pensiero come un uccello esplora la sua gabbia, pensiero che sembrava importante prima di scriverlo. Il sole ha battuto forte nella testa nuda.
E pur non avendole, non ho bisogno di giustificazioni per esprimermi. Per questo oggi posso provare a parlare a tutti gli uomini e ad amare la mia specie, si può amare un re solo dopo avergli tolto la corona, finalmente animale tra gli animali, chi saranno allora gli altri da me?
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