Terra del Fuoco
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Dall'alto si vede avvicinarsi il canale del Beagle, l'isola Navarino e in lontananza quelle che sembrano le isole di cabo de Hornos.
Scendendo si delineano cime scure e innevate e subito sotto le foreste, estese e scurissime.
Non c'è più traccia qui dell'oro della patagonia.
In questo estremo sud tutto scurisce e resta tra i boschi neri solo la nota di rame ossidato delle vaste torbiere, che si vede dall'alto.
A Ushuaia sembra di atterrare nell'acqua del canale, tra coste, fiordi e piccole isole.
Non fa poi così freddo, non sembra di essere poi tanto vicini all'antartide; eppure si percepisce qualcosa di blandamente ostile, qualcosa di inamichevole e invitto in questo paesaggio di montagne aguzze, nere pezzate di bianco. Mucche che escono dal mare.
(L'acqua qui ha un colore che devi ricordarti, e anche la sua tessitura. È quanto di più vicino conoscerai delle acque polari.)
La città è grande almeno come Treviso, turistica, autonoma. È la capitale di questa parte argentina dell'isola, ha qualcosa di meschino e inautentico e qualcosa di impressionante nel semplice fatto di esistere, qui, così isolata. Ovunque il vanto di "fine del mondo", ma il mondo continua, è la città che resta sola, come ex penitenziario che si purga con le proprie attrazioni naturali e storiche, un puro e ben riuscito simbolo di lontananza organizzata.
Mi chiedo per quale frase sono venuto fin qui, in questa terra che resta aggrappata ai nomi di esploratori che hanno scoperto, e visto estinguersi i leggendari abitanti indios che vivevano questi fiordi, Selk'nman e Yamana, che anche da qui restano inimmaginabili, nudi sotto le sferzate dei venti polari.
La città più a sud del mondo, è solo una frase, una parola, il nome di un'area, di un territorio, di un'isola - la più grande del sudamerica - intessuta dalle epopee di Darwin e Coloane. Ushuaia non è più che un avamposto umano in un luogo dove ancora possono esserci boschi alle porte di una città. È un canale che prende nome da un brigantino che fu reale e passò di qui portando, in qualche modo, nuova luce al mondo.
Un viaggio geografico, reso per me possibile dalle grandi aereolinee. Sono loro a permettere agli uomini di pianura d'immergersi - sia pure per poco - ed immedesimarsi in questo paesaggio davvero così poco nostro, in questi canali, in questi oceani.
Davvero oggi non posso, dopo tanta fortuna, sentirmi più solo uomo di pianura; sento che il mondo è anche mio, mio diventa il paesaggio che assorbo, miei i racconti che mi suggestionano, e che cerco di non plagiare.
Mie le orme che io non lascio ma che continuo a raccogliere con il gesso.
(Se non miri ad una costruzione e non segui un giudizio, il viaggio geografico assume un senso di per sè. Da solo.)
I boschi qui non hanno più di 1000 anni, sono tutti risorti dopo l'ultima glaciazione che ha visto l'isola completamente coperta dai ghiacchi. Il bosco è ripartito dal suo estremo est e da allora si è riaperto il passo ad ovest, e così anche gli animali terrestri sono ritornati, così gli uomini, i guanachi e le volpi hanno ripreso possesso della terra.
Per questo però piante e animali non hanno avuto molto tempo per differenziarsi da quelli del continente. Nell'isola non ci sono tutt'oggi che 4 specie di alberi, dei quali dominante è la lenga (notophagus pumilio) e 20 specie di mammiferi (compresi topi e pipistrelli). In terra del fuoco non ci sono ne rettili ne anfibi!
Ci sono invece molte specie di uccelli e mammiferi marini.
In questi boschi che si affacciano sul mare, non c'è nulla in ciò che guardo che non sia semplicemente bellissimo.
Il sentiero s'inerpica nel bosco fitto, alberi di oltre trenta metri completamente sradicati dal vento e abbandonati, lasciati abitare da animali e funghi.
Il cielo oltre le chiome s'annuvola e si rischiara ritmico, e in pochi minuti cambiano le temperature per il capriccio di nuvole e vento.
Si aprono radure vicino alle baie rocciose. Arriviamo a spettrali torbiere dove alberi bianchi fanno da croci a se stessi.
Ci sorprende un tremendo temporale, una pioggia rumorosa. Poi passa tutto e ritorna una specie di lugubre sereno, arranchiamo allora ad un campeggio dove tiuques e caracara aspettano affamati gli avanzi degli asados dei campeggiatori e frugano nella spazzatura aprendo i sacchi con il becco.
Gli zoccoli dei cavalli sprofondano nel fango nero.
Nelle vicinanze c'è un lago d'acqua dolce con una colonia di castori (scappati dagli allevamenti e diffusi qui come una piaga), centinaia di tronchi piccoli e grandi tutti appuntiti, abbattuti all'altezza di 50 centimetri dal suolo e spostati per sbarrare un corso d'acqua e allagare una torbiera.
"Darwin y su tìo Jos lo discutieron. Este escribiò en un papel las objeciones [al viaje en el Beagle] que habìa puesto su padre para que Wedgwood las analizara:
1) No es compatible con mi caràcter de futuro clérigo.
2) Un proyecto descabellado.
3) Que deben haber ofrecido el puesto a muchos otros antes que a mì.
4) Que el hecho que nadie lo haya aceptado debe hablar de alguna seria objeciòn al barco o a la expediciòn.
5) Que nunca llevaré una vida ordenada después de esto.
6) Que mi alojamiento seguramente serà incòmodo.
7) Que debe considerarse como un cambio de profesiòn.
8) Que serìa una empresa inùtil."
1) No es compatible con mi caràcter de futuro clérigo.
2) Un proyecto descabellado.
3) Que deben haber ofrecido el puesto a muchos otros antes que a mì.
4) Que el hecho que nadie lo haya aceptado debe hablar de alguna seria objeciòn al barco o a la expediciòn.
5) Que nunca llevaré una vida ordenada después de esto.
6) Que mi alojamiento seguramente serà incòmodo.
7) Que debe considerarse como un cambio de profesiòn.
8) Que serìa una empresa inùtil."
Peter Nichols, Darwin contra Fitzroy.
Otarie litigando.
Dall'alto si vede avvicinarsi il canale del Beagle, l'isola Navarino e in lontananza quelle che sembrano le isole di cabo de Hornos.
Scendendo si delineano cime scure e innevate e subito sotto le foreste, estese e scurissime.
Non c'è più traccia qui dell'oro della patagonia.
In questo estremo sud tutto scurisce e resta tra i boschi neri solo la nota di rame ossidato delle vaste torbiere, che si vede dall'alto.
A Ushuaia sembra di atterrare nell'acqua del canale, tra coste, fiordi e piccole isole.
Non fa poi così freddo, non sembra di essere poi tanto vicini all'antartide; eppure si percepisce qualcosa di blandamente ostile, qualcosa di inamichevole e invitto in questo paesaggio di montagne aguzze, nere pezzate di bianco. Mucche che escono dal mare.
I leoni marini sembrano un'accolita di anime in pena sugli isolotti perfettamente suddivisi tra loro, i cormorani e i pinguini. Gli animali sembrano aver maturato criteri occulti di convivenza.
(L'acqua qui ha un colore che devi ricordarti, e anche la sua tessitura. È quanto di più vicino conoscerai delle acque polari.)
Percorrendolo vediamo il canale del Beagle aprirsi verso est, verso l'atlantico tra Argentina e Chile, si vedono a colpo d'occhio i due paesi.
La città è grande almeno come Treviso, turistica, autonoma. È la capitale di questa parte argentina dell'isola, ha qualcosa di meschino e inautentico e qualcosa di impressionante nel semplice fatto di esistere, qui, così isolata. Ovunque il vanto di "fine del mondo", ma il mondo continua, è la città che resta sola, come ex penitenziario che si purga con le proprie attrazioni naturali e storiche, un puro e ben riuscito simbolo di lontananza organizzata.
Mi chiedo per quale frase sono venuto fin qui, in questa terra che resta aggrappata ai nomi di esploratori che hanno scoperto, e visto estinguersi i leggendari abitanti indios che vivevano questi fiordi, Selk'nman e Yamana, che anche da qui restano inimmaginabili, nudi sotto le sferzate dei venti polari.
La città più a sud del mondo, è solo una frase, una parola, il nome di un'area, di un territorio, di un'isola - la più grande del sudamerica - intessuta dalle epopee di Darwin e Coloane. Ushuaia non è più che un avamposto umano in un luogo dove ancora possono esserci boschi alle porte di una città. È un canale che prende nome da un brigantino che fu reale e passò di qui portando, in qualche modo, nuova luce al mondo.
Le foreste di notophagus sono pettinate e strappate dai venti polari coś regolarmente da sembrare verdi fasce geologiche sul fianco dei colli.
Conigli selvatici senza alcun timore o inibizione.
Davvero oggi non posso, dopo tanta fortuna, sentirmi più solo uomo di pianura; sento che il mondo è anche mio, mio diventa il paesaggio che assorbo, miei i racconti che mi suggestionano, e che cerco di non plagiare.
Mie le orme che io non lascio ma che continuo a raccogliere con il gesso.
(Se non miri ad una costruzione e non segui un giudizio, il viaggio geografico assume un senso di per sè. Da solo.)
Una volpe chilla avanza sull'umido cuscino della torbiera.
I boschi qui non hanno più di 1000 anni, sono tutti risorti dopo l'ultima glaciazione che ha visto l'isola completamente coperta dai ghiacchi. Il bosco è ripartito dal suo estremo est e da allora si è riaperto il passo ad ovest, e così anche gli animali terrestri sono ritornati, così gli uomini, i guanachi e le volpi hanno ripreso possesso della terra.
Per questo però piante e animali non hanno avuto molto tempo per differenziarsi da quelli del continente. Nell'isola non ci sono tutt'oggi che 4 specie di alberi, dei quali dominante è la lenga (notophagus pumilio) e 20 specie di mammiferi (compresi topi e pipistrelli). In terra del fuoco non ci sono ne rettili ne anfibi!
Ci sono invece molte specie di uccelli e mammiferi marini.
In una vecchia 'castorera' un grosso albero lasciato a metà dai roditori.
Il sentiero s'inerpica nel bosco fitto, alberi di oltre trenta metri completamente sradicati dal vento e abbandonati, lasciati abitare da animali e funghi.
Il cielo oltre le chiome s'annuvola e si rischiara ritmico, e in pochi minuti cambiano le temperature per il capriccio di nuvole e vento.
Si aprono radure vicino alle baie rocciose. Arriviamo a spettrali torbiere dove alberi bianchi fanno da croci a se stessi.
Ci sorprende un tremendo temporale, una pioggia rumorosa. Poi passa tutto e ritorna una specie di lugubre sereno, arranchiamo allora ad un campeggio dove tiuques e caracara aspettano affamati gli avanzi degli asados dei campeggiatori e frugano nella spazzatura aprendo i sacchi con il becco.
Gli zoccoli dei cavalli sprofondano nel fango nero.
Nelle vicinanze c'è un lago d'acqua dolce con una colonia di castori (scappati dagli allevamenti e diffusi qui come una piaga), centinaia di tronchi piccoli e grandi tutti appuntiti, abbattuti all'altezza di 50 centimetri dal suolo e spostati per sbarrare un corso d'acqua e allagare una torbiera.
Baia marina.
In una baia che fu degli Yamana.
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