Dai 'Devozionali' in poi - La crisi del 2005 -
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"La scultura era bella quando l'ingenuità ghe dava la stessa natura del tempo, un pressapoco: una cosa poteva essere l'altra. C'era questo fatto, ma che non apparteneva all'arte: un giocattolo."
Arturo Martini, "Colloqui sulla scultura 1944- 1945"
Lo sguardo a distesa sul tramonto delle grandi narrazioni è l’apostrofe dei filosofi sul nostro tempo, ma delle narrazioni non si fa a meno, non si può, e si assiste allora a questo prolifico mosaico di piccole narrazioni, di narrazioni in tono minore, di narrazioni da telefilm, che in ultima analisi si rifanno lontanamente a quelle grandi, quelle che toccarono, formarono e toccano il cuore dell’uomo, ai cicli che esprimono l’umanità. Ma ne è cambiato, pare definitivamente, il tono: l’analisi, la parodia, l’escrescienza, la contaminazione, l’interpretazione, hanno affievolito ed estenuato il senso di fede che c’era nella narrazione. Sottostà la convinzione che non sarà la bellezza a salvarci, non certo l’arte o l’artista e nemmeno la storia, il racconto o il narratore.
Ma allora quale narrazione in tono minore può esprimere meglio la nostalgia delle compassioni del tempo ormai mitico del racconto.
Cercando una via sincera della narrazione in scultura. Il minor medio narrativo-espressivo che mi permetta di abbandonare l’articolazione di pensieri complicati intorno alla fede illusoria negli alti sentimenti della dignità, della santità e dell’eroismo; è qualcosa di simile ad un personaggio-pupazzetto.
Il suo tono minore mi permette una considerazione più umana e diretta di certi stati psichici ed emotivi che nell’epoca delle grandi narrazioni, dei grandi cicli (a tutt’oggi insostituiti) venivano oscurati dal valore soprastante del significato morale del racconto.
Ecco come i miei piccoli recuperi di quei racconti restano appesi come pelli svuotate, purchè ricordino almeno l’odore dell’animale, fuori dall’impossibile verità di qualunque racconto essi esprimono un amore e una commozione per ciò che oggi è possibile solo, paradossalmente, citare.
Nessun intento blasfemo mi lega ai temi. La grande narrazione religiosa come l’antica mitologia, le avventure dantesche, faustiane o storiche – penso a Cortez mentre incontra Montezuma – qualsiasi fatto condiviso che colpisca il mio interesse e che io consideri emblematico dell’immenso campionario di destini e storie di cui siamo discendenti e custodi (assurdamente) può andare. Ogni grande tema può essere spogliato e rivestito infinite volte senza mai sradicarsi dal suo terreno di fondo. Un’immagine applicata ad esso è sempre un modo utile per inventariare lo stato di salute di ciò che condividiamo.
L’incapacità di credere nelle grandi narrazioni dell’umanità non esclude il comune bisogno di discendenza, di vicinanza, di convivenza con esse. Trasformare o diversamente mascherare i personaggi di un racconto non evita che esso si conduca con le sue eterne regole.
Ma è ciò che in questo lento condursi impercettibilmente cambia; e ciò che conduce a questo cambiamento che mi interessa.
La vita comune ha il criterio di un'azienda antropofaga in cui l’intelligenza ironica e dissacratrice della disperazione media ignora una nuova narrazione, un rituale, una formula capace di annientare la storia per poi ricostruirla.
Continuiamo a girarci attorno. Ma anche conservati sotto sale i racconti lentamente tramutano.
-- Particolare da: 'Discesa di Cristo negli Inferi'--
Ma allora quale narrazione in tono minore può esprimere meglio la nostalgia delle compassioni del tempo ormai mitico del racconto.
Cercando una via sincera della narrazione in scultura. Il minor medio narrativo-espressivo che mi permetta di abbandonare l’articolazione di pensieri complicati intorno alla fede illusoria negli alti sentimenti della dignità, della santità e dell’eroismo; è qualcosa di simile ad un personaggio-pupazzetto.
Il suo tono minore mi permette una considerazione più umana e diretta di certi stati psichici ed emotivi che nell’epoca delle grandi narrazioni, dei grandi cicli (a tutt’oggi insostituiti) venivano oscurati dal valore soprastante del significato morale del racconto.
Ecco come i miei piccoli recuperi di quei racconti restano appesi come pelli svuotate, purchè ricordino almeno l’odore dell’animale, fuori dall’impossibile verità di qualunque racconto essi esprimono un amore e una commozione per ciò che oggi è possibile solo, paradossalmente, citare.
Nessun intento blasfemo mi lega ai temi. La grande narrazione religiosa come l’antica mitologia, le avventure dantesche, faustiane o storiche – penso a Cortez mentre incontra Montezuma – qualsiasi fatto condiviso che colpisca il mio interesse e che io consideri emblematico dell’immenso campionario di destini e storie di cui siamo discendenti e custodi (assurdamente) può andare. Ogni grande tema può essere spogliato e rivestito infinite volte senza mai sradicarsi dal suo terreno di fondo. Un’immagine applicata ad esso è sempre un modo utile per inventariare lo stato di salute di ciò che condividiamo.
--'Cacciata dei Progenitori'--
L’incapacità di credere nelle grandi narrazioni dell’umanità non esclude il comune bisogno di discendenza, di vicinanza, di convivenza con esse. Trasformare o diversamente mascherare i personaggi di un racconto non evita che esso si conduca con le sue eterne regole.
Ma è ciò che in questo lento condursi impercettibilmente cambia; e ciò che conduce a questo cambiamento che mi interessa.
--'Mobbing'--
La vita comune ha il criterio di un'azienda antropofaga in cui l’intelligenza ironica e dissacratrice della disperazione media ignora una nuova narrazione, un rituale, una formula capace di annientare la storia per poi ricostruirla.
Continuiamo a girarci attorno. Ma anche conservati sotto sale i racconti lentamente tramutano.
-- Martirio di s.Apollonia --
SPEZZONE tratto da P.E. (Cristian Ferraro, 2005)
-- Martirio di s.Agata --
-- Pupazzetto --