Dei Ribelli di Parigi
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"Ora toccava al territorio di diventare un riflesso della mappa"
Zygmunt Bauman,"Dentro la globalizzazione"
A Parigi, nell’atrio del Muséum National d'Histoire Naturelle/ Galerie de Paléontologie et d'Anatomie c’è questa scultura dell’ottocento, il tempo cioè che più di tutti ha toccato l’apice tecnico dell’arte scultorea e pittorica. E come tutte le vette indicava già in nuce nel suo limite, la futura capitolazione dell’apice che rappresentava, con il successivo dissolvimento della problematica mimetica e iconica di queste arti.
Questa scultura, realizzata nel momento in cui si stava esplorando come non mai l'arte di soggetto storico ed esotico, con monumenti a tema sparsi in tutta la città, rappresenta un particolare tipo di mitologia a me molto cara.
Il tema della “ribellione della fiera”, raccontava forse già allora la nostalgia di mappe da redigere, di popoli da piegare, di territori da controllare e sfruttare in nome della Francia e delle altre potenze coloniali. La vittoria sulle fiere era già ampiamente provata e ormai non restava che regolare i traffici dei prodotti derivati, i confini dei controlli in lontani paesi e le relazioni giurisdizionali con gli altri stati “organizzati”.
Già nell’ottocento la ribellione al potere politico e alla civiltà da parte dei bruti ribelli e sanguinari (uomini e animali) era tema in cui far librare gli ultimi sprazzi di bravura scultorea; ma già se ne avvertiva l’artificio; la fiera rappresentabile, era scappata sicuramente da uno zoo, da un baraccone cittadino in cui era stata già domata, in cui comunque era arrivata già vinta, era stata portata per essere vista; perciò era una traditrice che si era ribellata al suo domatore, che era fuggita da chi se l’era già presa e la considerava sua poiché la manteneva in vita; traditrice solo perché non completamente “altra” e lontana, solo perché di lei non si era tenuta solo la pelle ma insieme a quella, la vita.
E in questo senso poteva darsi empatia, compassione e raccapriccio in tutti coloro che avrebbero voluto abbandonare il tetto coniugale laddove si usasse la frusta, ma non potevano in alcun modo opporsi alle norme civili.
Vera ribellione si ha non contro il totalmente estraneo ma contro ciò a cui siamo appartenuti, contro ciò che ci ha tenuto in scacco e che non si può più sopportare.
Ecco che meravigliosamente l’ultima scultura rappresenta miticamente e mimeticamente l’ultima natura. Due forme soccombenti e ribelli, l’ultima ribellione è causa persa sia per l’una che per l’altra.
Il bruto lo si può comprendere e rappresentare con le sue bizzarre particolarità, uomo tra uomini e dentro sé minotauro, fiera fuggita in un labirinto. Inadattabile alla società cui suo malgrado, pur diverso, appartiene ormai.
Ma la forza civile dell’uomo dell’ottocento è già scontata vincitrice sulla belva, epoca per sempre domatrice di bruti, come falsa erede elettrico-industriale dei lumi del secolo precedente.
Poco importa che la natura sia anche capace di farci esplodere da sotto o di toglierci il lume del sole. Noi abbiamo, avevamo già allora, il dominio dei nostri simili purchè fossero essi animali, piante o uomini deboli e non ancora “organizzati”, quindi bestie.
Catartica è la visione di una scimmia che strangola un’efebico e spogliato umano di città, mi piacerebbe continuare il racconto con una fuga dell’animale nella foresta di Sumatra e non con una caccia per le vie parigine dove non possa che finire con una ovvia esecuzione.
Dio riserverà forse una foresta vergine per questi coraggiosi, nei suoi Cieli.
Il tema della “ribellione della fiera”, raccontava forse già allora la nostalgia di mappe da redigere, di popoli da piegare, di territori da controllare e sfruttare in nome della Francia e delle altre potenze coloniali. La vittoria sulle fiere era già ampiamente provata e ormai non restava che regolare i traffici dei prodotti derivati, i confini dei controlli in lontani paesi e le relazioni giurisdizionali con gli altri stati “organizzati”.
Già nell’ottocento la ribellione al potere politico e alla civiltà da parte dei bruti ribelli e sanguinari (uomini e animali) era tema in cui far librare gli ultimi sprazzi di bravura scultorea; ma già se ne avvertiva l’artificio; la fiera rappresentabile, era scappata sicuramente da uno zoo, da un baraccone cittadino in cui era stata già domata, in cui comunque era arrivata già vinta, era stata portata per essere vista; perciò era una traditrice che si era ribellata al suo domatore, che era fuggita da chi se l’era già presa e la considerava sua poiché la manteneva in vita; traditrice solo perché non completamente “altra” e lontana, solo perché di lei non si era tenuta solo la pelle ma insieme a quella, la vita.
E in questo senso poteva darsi empatia, compassione e raccapriccio in tutti coloro che avrebbero voluto abbandonare il tetto coniugale laddove si usasse la frusta, ma non potevano in alcun modo opporsi alle norme civili.
Vera ribellione si ha non contro il totalmente estraneo ma contro ciò a cui siamo appartenuti, contro ciò che ci ha tenuto in scacco e che non si può più sopportare.
Ecco che meravigliosamente l’ultima scultura rappresenta miticamente e mimeticamente l’ultima natura. Due forme soccombenti e ribelli, l’ultima ribellione è causa persa sia per l’una che per l’altra.
Il bruto lo si può comprendere e rappresentare con le sue bizzarre particolarità, uomo tra uomini e dentro sé minotauro, fiera fuggita in un labirinto. Inadattabile alla società cui suo malgrado, pur diverso, appartiene ormai.
Ma la forza civile dell’uomo dell’ottocento è già scontata vincitrice sulla belva, epoca per sempre domatrice di bruti, come falsa erede elettrico-industriale dei lumi del secolo precedente.
Poco importa che la natura sia anche capace di farci esplodere da sotto o di toglierci il lume del sole. Noi abbiamo, avevamo già allora, il dominio dei nostri simili purchè fossero essi animali, piante o uomini deboli e non ancora “organizzati”, quindi bestie.
Catartica è la visione di una scimmia che strangola un’efebico e spogliato umano di città, mi piacerebbe continuare il racconto con una fuga dell’animale nella foresta di Sumatra e non con una caccia per le vie parigine dove non possa che finire con una ovvia esecuzione.
Dio riserverà forse una foresta vergine per questi coraggiosi, nei suoi Cieli.