A una mostra di Lucio Fontana - 6 ottobre 2007 -
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Di esseri di terra
Il dominio avrà fine
Salmo 10, v. 18 traduzione di Guido Ceronetti
A Mantova al castello di San Giorgio ho avuto modo di vedere una mostra dedicata ad alcune sculture, ai disegni e alla grafica di Lucio Fontana.
Di fronte alle prime “nature” deposte come semi giganti su una scalinata, mi si è fatto al fianco un signore, un professore sui sessanta, che con discrezione ha cominciato ad accompagnarmi parlando con me.
Io e Simona guardavamo opere e sale tra perplessi ed ammirati, sotto il flusso delicato ma ininterrotto delle parole di quest'uomo,
E così nelle sale semivuote dedicate a questo destino d’artista, di fronte alle sue opere c'impegnammo a parlarne : avevamo tempo; e una mostra è un contenitore prestigioso; evidentemente sia io che il professore trovavamo i “se” e i “ma” della storia piuttosto interessanti,
e così abbiamo cominciato ad aprire i concetti, con il sottinteso scopo di perderci.
Grosso modo il professore esordì ricordando di non aver visto mai una mostra che partisse dai “tagli” di Fontana, diceva che arrivano sempre soltanto una volta completato il percorso tra le sale. Questo perchè qualcuno vuol farci credere che ai tagli Fontana arrivi partendo dalla scultura. Ma questo, insisteva il professore, non è possibile; non si va per gradi dalla figura a quell’apertura concettuale che fu lo spazialismo;
Il 900 ha spinto troppo violentemente dentro i suoi artisti come nei suoi filosofi e scienziati lo stimolo ad un continuo superamento dei risultati, considerando gli esiti come passaggi a nuovi esiti, perchè poi si potesse spiegare la storia come un succedersi di eventi logici.
così lui sosteneva.
sorridendo gli dissi che non mi pareva che Fontana arretrasse di fronte alla figura umana e ai soggetti se vogliamo più “passatisti” dell'arte e che fu capace di attingere tranquillamente ai temi classici e ad usare il disegno. Come anche a saltare verso nuove esperienze, come fossero necessità “politiche” dell’arte dei suoi tempi.
E che era di per sé meraviglioso l'uso disinvolto che seppe fare degli smalti come materia di scultura, scultura che sa ancora molto di moderno che lascia presagire l’anima dei tagli senza perdere soggetto e materia, creta immersa nel vetro senza leziosità, creatura di smalto colorato.
Il professore sosteneva a filo di voce ma animatamente che no, Fontana come molti altri artisti del suo tempo non era interessato ai suoi strumenti, ne tanto meno alla scultura in quanto tale, e pensava già dichiaratamente oltre l’arte, pensava a come dare scacco alla sua scultura. Questo lui credeva e mi indicò uno scritto di Fontana alla parete, che diceva:
"L'arte non è la pittura, la scultura, solo: l'arte è una creazione dell'uomo, che la può trasformare in qualunque cosa...
come può anche finire, perché verranno dei fatti talmente eccezionali...
L'arte sembrerà troppo elementare: sarà superata dall'intelligenza dell'uomo e subentreranno altre attività che sostituiranno l'arte".
Poi il professore parlò di come la fisica dell'arte sembri angusta a chi, alchimista, cerca di trasformarla in metafisica nel modo più semplice e rapido. E rincarò dicendo che questo è divenuto il destino dell'arte da un determinato punto in poi; non mi charì quale, s'interruppe e continuò:
Si cercarono, si cercano e si cercheranno ancora, continuamente “porte”per questo tipo di alchimie. Porte su porte da aprire, e il palazzo delle porte è un laboratorio, uno studio, una fabbrica, una cava; denso come la pietra è il labirinto in cui si può procedere solo a forza di macchine da scavo sempre più raffinate, più settarie, per giungere a nuove, rare e preziose vene aurifere.
“Esplorazione” è la parola-concetto che ha guidato e guida queste ricerche a tappeto sulle cave, sui campi dell’arte, della scienza, della tecnica, ecc. Ed è forse appropriatamente un concetto geografico che è stato con successo applicato a tutto. Lo scopo è trovare e aprire porte per scrivere una storia che somigli ad una cartografia. Esplorare è trovare la via alla porta e aprirla, è circumnavigare un perimetro di costa fino ad una foce in cui entrare, è circondare un muro di cinta per scovare il punto debole. Allo scopo di aprir la via alla porta si costruiscono navi e armi, si cambia significato e si ribalta e riabilita la storia. La storia occidentale è la storia dell’apertura di porte, 10 anni attesi sotto le mura di Troia prima che i troiani aprissero le porte al cavallo, e il passaggio aldilà è apice e fine della guerra, la croce è la breccia attraverso cui si ammansisce la collera del popolo contro il capro espiatorio, Tenoctitlan si apre allo sguardo di Cortèz allo stesso fine.
La porta aperta è disvelamento e deflorazione, portatrice di dolore e di futuri nuovi. Ma ogni volta appare come un dolore inevitabile e necessario, un segnavia della storia. Nel passaggio l'aldiquà non si conserva che come mito e in un certo senso muore.
L’arte è ciò che gli uomini dell’ultimo 900 hanno decretato come creazione di porte, l’arte deve saper fabbricare i suoi percorsi, i suoi punti fermi e le sue geografie. L’arte europea dell'ultimo secolo, sosteneva il professore, è stata la continuazione dell’opera di esplorazione e di conquista che si era conclusa il secolo prima. Nuovi “ismi” valsero le vecchie colonie e spesso si fondarono come quelli su immeritati banchetti d'oro e su inarrestabili entusiasmi di conquista.
Mai come nei secoli delle grandi scoperte e penetrazioni geografiche gli uomini europei si sentirono padroni della storia, dinamici e aggressivi ebbero l’opportunità di esplorare, loro per primi, kilometri di fiumi immensi, laghi, popoli e continenti come regni vergini da far fruttare, come regolari possedimenti.
Abbiamo scoperto quindi “abbiamo”.
L’uomo europeo si sentì padrone della geografia e dei confini. Inventore della storia. Rigeneratore del diritto della conquista.
Aprire la porta significa possedere "l'arte di vincere senza avere ragione".
Il Fontana anteriore ai tagli non apre ancora la sua porta, è l’uomo delle chiavi, le sue sculture sono si svincolate da norme accademiche, ma possono ancora al massimo grado rappresentare ciò che lo sguardo prende a prestito dalle cose, dalle ombre nella caverna platonica. Lo sguardo è ancora in accordo con noi entro i confini e nell'aldiquà della porta.
Spesso sono figure appena accennate sulla creta morbida, che evocano donne, cavalli, fondi marini, banane, farfalle; nell’allusione fertilizzata dal colore di quella materia ulteriore che è lo smalto o il mosaico.
La sua scultura fino a qui è una chiave in cerca di porta, così ho sostenuto col professore.
Per me, cercavo di far capire, essere una chiave è il vertice per l'opera dell’arte. Intendendo l'arte come un omaggio, un'esplorazione entro i precisi confini di una necessità formale, sacra come il volume limitato di un ventre da fecondare.
ma con che decisione si è stabilito che un taglio potesse ora rappresentare tutto insieme: chiave, porta e passaggio di là da quella?
Compare qui evidentemente una cosa nuova, un nuovo suggerimento. La tela, luogo istituzionale, diventa il campo di sfondamento, da lì ora si passa. Niente di che mi verrebbe da dire, ma il professore insiste sul niente. E dice: nulla, nulla, non c’è nulla dall’altra parte; ma proprio questo è il nulla in cui converge anche l’esito della filosofia del secolo, e quei tagli paiono la via per superare il nulla stesso, non più trattenuto dalle superfici che rappresentano le cose umane, ormai del tutto inadeguate.
E che l'annullamento sia sereno o no non ha più importanza, la libertà non è qui una questione morale, la libertà è ormai il vuoto del taglio, la mancanza di tutto e insieme il passaggio oltre. L'annullamento di ogni altro elemento diviene l’unica via possibile per cui riuscire a risentire l'entusiasmo della conquista, l’unica apertura che ci faccia respirare l’arte della libertà, l'arte di vincere senza aver ragione, ma solo su noi stessi.
La libertà di navigare come Magellano nei nostri oceani interiori poco pacifici, è tutto ciò che individualmente resta delle grandi esplorazioni.
Ma se il taglio è il gesto ultimo di uno straordinario scultore, perché non sentirlo come un gesto zen che testimonia l’illuminazione di un uomo? Questa fu la mia domanda.
E il professore disse: Fontana ha aperto la porta e ha fatto dell’apertura un segnavia, come se dicesse: ”da qui si può passare e anzi vi sarà difficile non passare, ma non potrete più farlo per primi”, tutta l’esplorazione entro i confini dell’arte-omaggio è già ormai materia da archeologi e non conta ai sensi della storia dacché cominciò a delinearsi sempre più come apertura di nuove porte (queste sole sono le fasi salienti). Chi modella una farfalla -e Fontana l’ha fatto- starà sempre nell'opaca eternità della rappresentazione ma non entrerà mai per questo nella storia.
Il taglio è il punto saliente dell’arte di Fontana, è anche il suo punto di ancoraggio, di contestazione e di discussione, si può infatti starsene aldiquà o andare con lui, oppure aspettare in qualche altro luogo l’apertura di un’altra porta, purché una nuova sottile vena d’oro s'intraveda.
Al professore sembrava davvero che tra le sculture “naturalistiche” e i cosiddetti concetti spaziali passasse un abisso e non rimanesse alcun senso di relazione o familiarità, ma che vi fosse un salto senza ponte. Nell'annichilimento dell'opera è rimasto il senso di un’illuminazione, di una comprensione, di una conversione. Ecco ciò che ci affascina, diceva; ciò che Fontana ha compreso per tutti noi, l’atto di libertà che ha fatto per disinfettare il morso del serpente che l’arte stava diventando. Ma questo gesto non poteva essere facilmente assimilato.
Così Fontana ha dovuto replicare quel gesto molte volte; affinché qualunque collezionista potesse avere in casa quell’idea riprodotta dalla mano del suo scopritore. L’arte da “oggetto-chiave” era ora la reliquia di una porta aperta.
Non c’è però apertura sufficiente per chi non sappia respirare e così anche il gesto liberatorio e esplorativo di Fontana è divenuto ben presto asfittico nei polmoni di quel mondo in seno al quale l’ha compiuto.
La libertà del secolo delle libertà, sosteneva sempre il professore, non ha aperto porte nuove per trovare qualche cosa ma per sfogare il suo nulla, per farlo uscire come uno spirito cattivo, una cattiva infinità di ripetizioni dell'oggetto che era il derivato del gesto irripetibile.
Ma, allora chiesi, se la nostra libertà è una conseguenza del nichilismo; una fabbrica di gesti di libertà, di che cosa traccia il solco la moltiplicazione dei “concetti spaziali”?
Prova, mi diceva, a immaginare Guglielmo Tell centrare la mela sulla testa di suo figlio più volte al giorno per un pubblico pagante. Non sarebbe anche ai tuoi occhi come un'attore che rischiasse ad ogni spettacolo quanto ha di più caro?
Allora io, dopo una pausa, domandai: perché dovrebbe essere diverso dal teatro il cosiddetto mondo dell’arte? L’opera forse può essere una porta solo se come il sipario si richiude subito dopo l’esecuzione e se chi recita si prende la responsabilità di non ritornare più aldiquà se non cambiato. Altrimenti può essere una chiave senza porta, segno meraviglioso che ci fa trattenere tra le mani la domanda: “cosa aprirà?”
Fontana dimostra che prima dei tagli aveva già esplorato il suo teatrino di ceramiche lussureggianti, di avvincenti narrazioni religiose e di figure smaltate dove la luce ancora scorre rilucendo come l’acqua.
Ma noi, continuavo, che seguiamo questi piloti, questi precursori glorificati dall'arte, come prenderemo la storia più recente, come apprenderemo i nuovi punti salienti se vengono poi prematuramente distribuiti con lo stesso metodo, somministrati prima ancora di diventare Verbo come particole ripetitive dell'unico corpo.
se proviamo a seguire quelle strade immancabilmente vedremo che la libertà non può essere confezionata e che l’oro non equivale alla vena nella roccia. Dove troveremo le porte non di già aperte ma segnate e richiuse tanto da dover scoprire che in qualcuna delle due mani la chiave giusta già c'è, quasi per caso.
Non ho mai invidiato nessun artista di questo secolo, forse perché mi hanno già fatto il regalo. La loro libertà già mi appartiene.
So che posso trovare anch’io la mia illuminazione, il mio taglio, la porta per le mie chiavi, la mia vena o il mio sipario, ma dovrò essere io stesso a richiuderlo dietro di me. Fontana aveva già vinto la materia in molte sue piccole sculture, ma la possibilità del taglio era la possibilità di un salto, l'intuizione di collocarsi in una rotta nella carta geografica della storia, il premio-libertà accordato dal secolo al genio dell’artista, che per affermare il suo gesto doveva ripeterlo secondo le leggi superiori del mercato.
Ma se noti, sottolineava il professore, non ci si accorge mai di un taglio “stanco” di Fontana, la stanchezza è il suo modo di variarlo, di modularlo. E la porta è sempre quella ed è sempre aperta, compito suo è dichiarare di continuo la sua scoperta.
Molto nulla doveva essere inserito nelle pagine della filosofia per rendere questo significato possibile: il taglio di un artista sulla tela, i buchi sulla creta.
L’arte è un lavoro, Fontana era un vigile lavoratore ben inserito e affermato, ha saputo cosa aprire quando serviva e ha saputo come proporlo e riproporlo. Ha fatto il miracolo, zen o imprenditoriale che fosse, facciamone tesoro.
Miracoli sono state anche le sue rappresentazioni e scoperte scultoree, se i “tagli” da dietro, gettano luce anche su di loro, tanto meglio.
Il pezzo di ceramica smaltata che esce con un colore inaudito è il frutto che si mangia solo dopo aver aperto la porta di un forno, e lo stupore di chi guarda quel lavoro è impensabile prima di aprire quella porta.
A noi la fortuna porti ad uscire dal forno rinnovati, inediti e purificati dalle alte temperature.
A farne uscire dopo di noi ancora molte di cose così fresche sarà un Ritorno.
Vedo ancora il professore che annuisce.