APRILE '09
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“Va’! mi han detto loro. Va’! Ma ti avvertiamo ancora: Hai mica dei gusti giusti per un pidocchioso! È la febbre che ti rende tocco! Ci tornerai indietro dalla tua America e in uno stato peggio del nostro! È i tuoi gusti che ti rovineranno! Vuoi imparare? Ne sai già troppo per quel che sei!”
“Va’! mi han detto loro. Va’! Ma ti avvertiamo ancora: Hai mica dei gusti giusti per un pidocchioso! È la febbre che ti rende tocco! Ci tornerai indietro dalla tua America e in uno stato peggio del nostro! È i tuoi gusti che ti rovineranno! Vuoi imparare? Ne sai già troppo per quel che sei!”
Louis-Ferdinand Céline, “Voyage au bout de la nuit”
Il commento alla bibbia di Quinzio, il Qohèlet e i Salmi nella versione di Ceronetti, le poesie di Celan, le elegie di Rilke, l’Eneide tradotta da Sermonti, Dante e Leopardi tascabili (lo so, troppa poesia, ma è proprio quella cui ci si ritrova solo nella versione amata). Un libro di colloqui con Arturo Martini che in Cile, sono certo, non troverei e Le porte regali di Florenskij.
Questi saranno i primi libri, le mattonelle di carta da cui iniziare la delicata e intensa ricostruzione di una biblioteca. Un mese messo a scegliere tra tanti affezionati concorrenti e ricorrenti in punta di dita, e la scelta m’appare ancora un po’ arbitraria. Dispiace accorgersi di non sapersi separare da questi pensieri in forma di oggetti, che non hanno il carattere dell’indispensabilità ma che mi hanno costruito più di quanto non abbia saputo fare da solo.
Le cose essenziali mutano ma non si spostano, sono tutte affidate alle relazioni, non alle dottrine, alle opinioni che giungono dalla cattedra o dalla carta. Le relazioni si costruiscono laddove si è, e non si sospendono che a rischio di perderle. Come gli spazi si perdono per averli troppo a lungo lasciati vacanti.
Hanno un bel dire poi che ti rivogliono, è chiaro che non è così quando vedi che il tuo luogo è inevitabilmente occupato. Uno spazio nuovo non si inventa facilmente, e quando si ritrova non è previsto che il nuovo occupante si sposti. Nessun posto è mai nostro, non sono nostre le cose che non proteggiamo a forza di vicinanza per tutto l’arco della nostra resistenza, e se qualcosa ci rimane, è per caso. È che bisogna saperlo con gioia questo, e con la stessa gioia conservarlo o lasciarlo. Difficile gioia da imparare, gioia da troppo saggi.
Nella lontananza e nell’abbandono gli spazi si riempiono di nuove presenze, di nuovi guerrieri che insidiano i vecchi insediamenti. È la storia della Storia, con tutto il suo male che si ripete amichevolmente anche per i miei occhi, anche qui a casa mia. È così, immagino, che l’amore scivola da una persona a un’altra. All’inizio dei tempi si dev’essere votato in un concilio di dei per decidere che tutto ciò che appare e si dice fermo in realtà si muova e possa cambiare repentinamente per dare giro al mondo.
Eccoci Cile, fra pochi giorni noi saremo da te per due anni, lasciaci in prestito un po' del tuo lungo spazio, fatti accogliente, abbiamo ancora pochissima conoscenza dello spagnolo ma ce la faremo, forse, a fare qualcosa laggiù in te.
Partiamo con il Progetto nella testa e nel cuore, e gli abbracci che ci hanno dato gli altri volontari dell’ACCRI (come suona aspro il nome di questo bene) che ieri ci hanno salutato.
Dopo tre mesi le nostre valigie spalancate sul letto aspettano di essere ricomposte come caotici rompicapi e non ci sembra vero.
Le cose essenziali mutano ma non si spostano, sono tutte affidate alle relazioni, non alle dottrine, alle opinioni che giungono dalla cattedra o dalla carta. Le relazioni si costruiscono laddove si è, e non si sospendono che a rischio di perderle. Come gli spazi si perdono per averli troppo a lungo lasciati vacanti.
Hanno un bel dire poi che ti rivogliono, è chiaro che non è così quando vedi che il tuo luogo è inevitabilmente occupato. Uno spazio nuovo non si inventa facilmente, e quando si ritrova non è previsto che il nuovo occupante si sposti. Nessun posto è mai nostro, non sono nostre le cose che non proteggiamo a forza di vicinanza per tutto l’arco della nostra resistenza, e se qualcosa ci rimane, è per caso. È che bisogna saperlo con gioia questo, e con la stessa gioia conservarlo o lasciarlo. Difficile gioia da imparare, gioia da troppo saggi.
Nella lontananza e nell’abbandono gli spazi si riempiono di nuove presenze, di nuovi guerrieri che insidiano i vecchi insediamenti. È la storia della Storia, con tutto il suo male che si ripete amichevolmente anche per i miei occhi, anche qui a casa mia. È così, immagino, che l’amore scivola da una persona a un’altra. All’inizio dei tempi si dev’essere votato in un concilio di dei per decidere che tutto ciò che appare e si dice fermo in realtà si muova e possa cambiare repentinamente per dare giro al mondo.
Eccoci Cile, fra pochi giorni noi saremo da te per due anni, lasciaci in prestito un po' del tuo lungo spazio, fatti accogliente, abbiamo ancora pochissima conoscenza dello spagnolo ma ce la faremo, forse, a fare qualcosa laggiù in te.
Partiamo con il Progetto nella testa e nel cuore, e gli abbracci che ci hanno dato gli altri volontari dell’ACCRI (come suona aspro il nome di questo bene) che ieri ci hanno salutato.
Dopo tre mesi le nostre valigie spalancate sul letto aspettano di essere ricomposte come caotici rompicapi e non ci sembra vero.
A Talca il mio primo colibrì [Sephanoides sephaniodes] ronzava come una mosca sul vetro; è stato facile gentilmente prenderlo, per tenerlo in mano (quale segno!) e poi liberarlo - "come un lampo" -