Angkor
Torna a Signs/Opinions
"A qual fine si lavorano tante pietre! Non vidi nessuno in Arcadia, quando ci fui, che lo facesse.
Preferisco vedere le pietre al loro posto.
La maggior parte delle pietre che una nazione lavora, servono soltanto da cippi tombali. Essa si seppellisce viva."
Preferisco vedere le pietre al loro posto.
La maggior parte delle pietre che una nazione lavora, servono soltanto da cippi tombali. Essa si seppellisce viva."
Henry Thoreau, Walden
Ingresso ai pellegrini.
Cambogia rurale, l'acqua dei monsoni sui finestrini dell'ennesimo autobus.
Case povere e bellissime con lo stigma indifferente dell'autenticità, villaggi e risaie a perdita d'occhio.
Qualche monte come un sasso tra le acque.
Una meta voluta per verificare un sentimento, per vedere una meraviglia indimenticabile.
Angkor!
Una testa e un budda vivo e venerato tra i mille.
I templi sono dappertutto, nella bandiera, nelle banconote. Li raggiungiamo in bici per ammirare la città perduta e per vedere come la foresta se li è ripresi. Per tutto il tempo sperare che succeda anche alle nostre brutte case.
Che sogno l'ex Appiani ricoperto dai rovi!.
Qui davvero per qualche secolo la foresta si è ripresa le pietre scolpite penetrando a fondo in esse dai tetti ai corridoi. Qui la foresta è infusa all'architettura.
Nessuna pietra sogna di essere trasformata in figura, ma se lasciandosi scolpire può essere abitata dallo spirito umano allora anche un albero può contribuire alla sua trasformazione, e crescendoci sopra riempirla e modellarla con il suo spirito, allungando lunghe immanenti mani fino a farsi cosa sola.
Turista con la guida sotto ai denti, naif da belli e buoni sentimenti galleggia tra i testoni sorridenti.
Ci ricorda che la pietra scolpita può contenere una divinità che può essere eclissata ma non sconfitta, che sa attendere seraficamente il tempo di risorgere da un lungo oblio.
Ci ricorda che anche la pietra sacra dei templi abita questo stesso mondo da innumerevoli altri abitanti abitato, tutti pronti a farsi promisqui, a legarsi e trasformarsi fino a far stemperare le tracce, i significati, i segni.
Ci ricorda che la pietra è anche solo pietra, mutata dal tempo nella sabbia della clessidra con cui lo si misura, in modo non dissimile dalla cenere che saranno tutti i nostri corpi animali.
Ci ricorda che modificare le pietre non cambia in nulla la loro natura di pietre, e tra le innumerevoli squadrature geologiche superficiali e profonde della Terra stanno benissimo anche i volti e le storie umane.
(Sempre che un uccello vi si possa posare sopra almeno una volta.)
Questo ci ricorda Angkor, dove dopo qualche secolo di foresta i templi sono stati fatti riemergere.
Ecco l'insieme colossale del Bayon, i cento volti sorridenti che paiono in lontananza apparire, confondersi e sparire nel paesaggio.
Dalla foresta il tempio sembra dapprima un mucchio di sassi uno sull'altro, coperto da licheni verdi e turchesi. Poi si entra rapidamente nella sua logica e si resta stupefatti di cosa essa sia. Centro esatto dell'immenso quadrilatero delle mura dell'Angkor thom il Bayon cambia sotto ogni luce, con ogni ora e da qualsiasi punto di vista lo si guardi.
Anzi, il Bayon è un luogo in grado di guardarti, e lo fa benevolmente con molti volti umani e divini.
Gli antichi khmer come i contemporanei maestri delle cattedrali, ma diversamente, scolpivano grandi visi.
Nel punto centrale dell'universo, l'universale del classico, c'è dunque la narrazione continua di una rovina umana finita, infinita e sorridente, una teoria di visi a cui non si può e non si vuole sfuggire, uno specchio amplificato di noi stessi.
C'è un filo sottile comune a tutti i volti di pietra, la volontà di riconoscersi in questa forma d'uomo cui si sta dentro allo sguardo.
Ad ogni cambiamento di luce, ad ogni passo è una rivelazione. Rivedo perfino la volontà della mia testa non riuscita.
Grandezza e ambizione di una civiltà del profondo oriente e suo modo di scomparire, morire, essere abbandonata e saccheggiata e dimenticata, proprietà delle comuni forze del tempo, finchè la pietà della stessa civiltà non la faccia risorgere nuovamente, riscoprendola.
Parabola cristica della pietra che si fa carne per riportarci il suo significato intatto.
Le pietre scolpite si fanno carne per darci il segno d'immortalità e resurrezione. Esse sono immagine del Regno.
A questo servono le pietre, oltre all'ambizione dei re di avere una tomba acconcia.
La città perduta si è immensamente arricchita durante il suo oblio, perchè ora non è più solo pietra.
Fusa con la foresta con cui ha intimamente convissuto Angkor è divenuta figlia di un doppio parto.
Un fossile umano riscoperto dalla vita. Natura Cultura, non si sa quale creazione amare di più.
Anch'io qui dentro dò da mangiare frutti di loto ai macachi.